26 Gennaio 2005
La prima giornata del laboratorio teatrale “Università e Teatro” ha sempre la funzione di introdurre i partecipanti nel mondo del laboratorio teatrale, di spiegare le dinamiche culturali dell’iniziativa, di chiarire gli intenti e i percorsi che ci saranno. Percorsi che sono tutti da scrivere, perchè l’animazione teatrale è un’esperienza dinamica, in divenire, che nasce e vive dalle esperienze dei partecipanti. Attraverso la loro presenza agli incontri di animazione, la loro risposta agli stimoli che saranno via via proposti, il desiderio di mettersi in gioco sarà possibile intravedere i meccanismi e i codici del linguaggio teatrale, costruendo giorno dopo giorno un percorso tutto da scoprire, fatto dalla sostanza delle persone sul palco, che divengono così elementi del gioco, ritmo, immagine, musica. Il laboratorio teatrale, insomma, è una specie di viaggio di cui è nota solo la destinazione, che pur mantiene vaghi tratti di mistero. In questo caso il percorso prenderà le mosse dal tema del rapporto tra il comico e il teatro. L’Anfitrione da Plauto a Kleist, passando attraverso Molière i punti di riferimento.
E da Plauto si è proprio partiti, dalla lettura del prologo dell’opera. Poi si è passati alla lettura della versione di Moliére. Oggi riportiamo il brano del prologo di Plauto. Arriveremo a Moliére e Kleist in seguito. C’è tempo fino al 9 febbraio, data del secondo incontro del laboratorio.
“MERCURIO
Lo volete, no, che vi tenga bordone negli affari, che vi dia una mano nei commerci, che vi faccia buscare un buon profitto? Lo volete, no, che sistemi i vostri conti e i vostri affari, dentro e fuori di casa, e che faccia marciare a gonfie vele le vostre iniziative presenti e future? Lo volete, no, che porti buone notizie a voi e ai vostri cari e che vi riferisca a puntino tutto ciò che vi preme? Perché io, lo sapete, sono quello che governa notizie e guadagni, come hanno deciso gli altri dèi… Le volete, insomma, tutte queste cose? Volete che ce la metta tutta perché il guadagno non vi manchi mai? Allora ascoltatela in silenzio, questa commedia, e siatene giudici imparziali e onesti. Perché sono qui? Per ordine di chi sono venuto? Adesso ve lo dico. Vi dirò anche come mi chiamo. Sono qua per ordine di Giove e il mio nome è Mercurio. Mi ha spedito qui mio padre, per pregarvi… Pregarvi, sì, anche se lo sa bene, lui, che ogni sua parola è un ordine, per voi, e che voi lo temete e onorate. Lui è Giove, perbacco! Sia come sia, mi ha comandato di parlarvi in forma di preghiera, con molto garbo e massima dolcezza. Il fatto è che il Giove che mi manda sente strizza quanto l’ultimo di voi. Suo padre e sua madre erano due mortali, poveracci, e quindi nessuna meraviglia se lui ha fifa per se stesso. E io no? Io, figlio di Giove, mi prendo paura per contagio da papà. Per questo vengo in pace e pace vi offro. Che cosa voglio? Una cosa giusta e facile da chiedere. Sì, io sono un uomo giusto, sono qui come portavoce di uomini giusti, nel nome della giustizia. Chiedere ai giusti cose ingiuste è un’indecenza; ma chiedere agli ingiusti cose giuste è una stupidaggine, no?, dato che quei mascalzoni manco lo sanno che cosa sia il diritto, e se ne infischiano pure. Adesso però fate attenzione alle mie parole, tutti quanti. Ciò che vogliamo noi, lo dovete volere pure voi, perché in fin dei conti voi e lo stato ce l’avete qualche debituccio verso di me e il mio genitore. Nelle tragedie gli altri dèi, Nettuno, il Valore, la Vittoria, Marte, Bellona li ho visti io con i miei occhi che vi sbattevano in faccia tutto il bene che vi avevano fatto. Dovrei ricordarvi che di tutto quel bene l’autore vero è mio padre, il re degli dèi? Ma lui non l’ha mai avuta l’abitudine di rinfacciare alla buona gente i suoi benefici. È convinto che gliene siate grati e che sia giusto trattarvi come vi tratta. Ora vi dico, punto primo, che cosa son venuto a chiedervi, poi vi spiegherò l’argomento di questa tragedia. Corrugate la fronte: perché mai? Perché ho detto che sarà una tragedia? Be’, sono un dio e posso trasformarla. Se lo volete, della tragedia farò una commedia, e senza cambiare una parola. Vi va o non vi va? Che sciocco!, come se non lo sapessi, io che sono un dio, che volete così. Le vostre idee sulla questione le ho sul palmo della mano. Ecco, farò che sia qualcosa di misto; che sia una tragicommedia. Tutta quanta commedia, no, non mi pare giusto, dato che c’entrano nientemeno che dèi e regnanti. E allora? Dato che c’entra anche uno schiavo, farò che sia una tragicommedia. Come vi dicevo. Ed ecco qua la preghiera. Giove chiede, tramite mio, che degli ispettori si aggirino tra il pubblico, fila per fila, sedile per sedile. Se pescheranno qualcuno a fare la claque, via subito la toga, che gli verrà sequestrata quale pegno. Se qualcuno, per far vincere un attore o un artista, intrallazza con scritti o con parole o per mezzo di galoppini, e anche se gli edili fan la torta per favorire l’uno o l’altro, ebbene, Giove esige e comanda che venga applicata la legge sui brogli elettorali. La vittoria, dice, voi la conquistate con il coraggio, non con i trucchi o i colpi bassi; e allora perché la legge che vale per i grandi non ha da valere anche per gli attori? Il merito deve contare, non le maniglie. Chi ha le mani pulite avrà tutti i seguaci che gli servono, sempre che i giudici siano in buona fede. Ora Giove mi ha dato pure un altro incarico: che i controlli ci siano anche per gli attori. Anche per loro, come no, perché guai se uno paga la claque per farsi applaudire o per far fischiare un suo collega. Gli si strappi il costume e la pellaccia. Giù! Non vorrei, adesso, che mi chiedeste perché mai Giove si impicci degli attori. Non c’è niente di strano. Lui in persona reciterà questa commedia. Non restate lì a bocca aperta come se fosse una novità che Giove sale sul palcoscenico. Proprio qui, l’anno scorso, poiché gli attori lo invocavano, Giove si è presentato ad aiutarli. Nelle tragedie, poi, Giove compare senza tante storie. Perciò dico e proclamo che Giove in persona reciterà questa commedia, oggi, qui, e io sarò insieme a lui. Ora fate attenzione che vi racconto l’intreccio. Qui c’è la città di Tebe; là, in quella casa, abita Anfitrione, che è nato ad Argo da padre argivo e ha sposato la figlia di Elettrione, Alcmena. Il popolo tebano è in guerra con i Teleboi e Anfitrione è il suo generalissimo. Prima di raggiungere l’esercito, Anfitrione ha messo incinta la sua sposa, Alcmena. E Giove? Be’, sapete bene com’è fatto mio padre, conoscete le sue debolezze, e come prende fuoco facilmente. Si è invaghito di Alcmena, stavolta, e, di straforo dal marito, se l’è goduta e l’ha messa incinta pure lui. La situazione per la donna è questa: incinta del suo sposo e del sommo Giove. Capito bene? In questo momento mio padre è là dentro, a letto con Alcmena, e la notte si è fatta lunga, molto lunga, perché lui colga il piacere quante volte gli pare. Ma il punto è che Giove si è trasformato in modo da sembrare Anfitrione. E io? Non fate le meraviglie per questo mio vestito, se mi presento qui come uno schiavo. La storia è vecchia e stravecchia ma io ve la racconto come nuova e perciò eccomi qui così conciato. Dunque mio padre Giove, proprio lui, se ne sta lì dentro in sembianza di Anfitrione e tutti quelli di casa, vedendolo, credono che sia Anfitrione. Se gli piace e se gli gira, Giove si trasforma come vuole. Io, io ho preso l’aspetto del suo servo Sosia, quel Sosia che ora è tra i soldati con Anfitrione. Così potrò dar aiuto a quell’innamorato di mio padre senza che gli schiavi, vedendomi sempre tra i piedi, mi chiedano chi sono. E già, credendomi un servo come loro, non mi domandano il mio nome e perché sono qua. Nel frattempo il divino genitore, dentro casa, se la spassa a modo suo, giacendo abbracciato alla donna che desidera più di ogni altra. E ad Alcmena va anche rivelando, lui, le sue imprese guerresche. Lei si crede di stare col marito mentre è con l’amante. In questo preciso momento mio padre sta raccontando che lui, pim pam, ha sbaragliato i nemici e ha ricevuto fior di donazioni come premio della sua vittoria. Quei doni, ce li siamo portati via noialtri. Eh sì, tutto è facile per Giove, basta che lo voglia. Oggi, farà ritorno a casa Anfitrione, e con lui ci sarà quel servo di cui ho assunto l’aspetto. E io, perché possiate distinguerci meglio, io porterò sul cappello queste alucce, mentre Giove sotto al cappello porterà un cordoncino d’oro. Anfitrione invece non ce l’avrà. La gente di casa, questi segni, non li potrà vedere; voi sì. Ma eccolo qui, il servo di Anfitrione, Sosia. Eccolo qui con la lanterna, che arriva dal porto. Appena si presenta, io lo caccio via dalla casa. Aprite gli occhi, spettatori, ne vale la pena: Giove e Mercurio fanno la commedia, qui.